Generalmente, il lavoro psicologico parte dal “sintomo” psicologico o psicofisico, talvolta anche prevalentemente fisico, in ogni caso il malessere per il quale si è consultato lo psicologo. I sintomi psicologici possono essere molteplici, e possono essere legati ad un particolare evento o periodo della vita, ad eventi che ci sono risultati traumatici, dolorosi o intollerabili, a condizioni di salute, a particolari eventi di vita che possono passare inosservati e non facilmente identificabili: spesso si tratta di sensazioni complesse che superano la nostra capacità di poterle comprendere.
Il sintomo è qualcosa che non amiamo: ci fa star male, spesso non capiamo perché ci è venuto o “che cosa vuol dirci”, ci fa sentire impotenti e magari sopraffatti: ma svolge una funzione preziosissima e imprescindibile, ci segnala che qualcosa di noi sta soffrendo e chiede di stare meglio, e a modo suo ci indica anche che cosa di noi sta male e come poterci avere a che fare, e in questo modo ci apre la strada e ci dà la direzione e le modalità della cura, verso la possibilità della comprensione e del cambiamento.
Tutto ciò che viviamo senza riuscire a “fotografare” della nostra esperienza, rischia di trasformarsi in una qualche forma sintomatica.
Il lavoro psicologico è probabilmente assimilabile ad un sostegno all’attività “fotografica” che la nostra mente svolge continuamente, soprattutto in maniera inconsapevole: talvolta va più sostenuta l’attività fotografica, che sembra essere lenta o essersi rallentata, talaltra pare che non riusciamo a fare fronte alla grande quantità di fotografie che ci vengono incessantemente messe a disposizione, sentendoci sopraffatti da qualcosa che non riusciamo a comprendere e quindi – ancor meno – ad utilizzare come risorsa.